Il Futuro e le nostre cittàPensieri in libertà di un visionario Pare che da qualche tempo l’emergenza climatica stia pian pianino entrando nei pensieri della gente comune. Sarà forse per le ondate di calore sempre più aggressive che si estendono ben oltre le nostre Alpi e che colpiscono nazioni europee poco avvezze al termometro alto, sarà perché i fenomeni atmosferici diventano sempre più estremi, sarà insomma che si inizia a toccare con mano e sulla nostra pelle questi eventi che la gente comincia a essere un pò più sensibile verso questo argomento. Compaiono sui social ricette magiche che risolveranno questi problemi in un batter d’occhio. Ricette del tipo basta costruire, piantiamo miliardi di alberi, smettiamo di mangiare carne, basta centri commerciali, torniamo a come facevano i nostri nonni, andiamo solo in bicicletta, basta viaggi in aereo, e via dicendo… Bellissimo. Tutto. Sarebbe bellissimo pensare a una vita bucolica in piccoli borghi dove il tempo è scandito dal sole e non dall’orologio, dove al mattino si sente il gallo cantare sopra il mulino bianco che sta macinando la farina del pane di domani, dove c’è tempo per fare le cose nel modo migliore, dove il denaro torna ad essere una mera unità di misura per scambiare il frutto del proprio lavoro e non vendersi la propria dignità. Ma, ma, ma…. purtroppo c’è sempre questo maledettissimo “ma” che si insinua tra i buoni propositi. Qual’è il “ma” questa volta? Ce ne sono più di uno. Il primo “ma” si riferisce al fatto che la popolazione mondiale è in continuo aumento e in futuro più del 50% della popolazione mondiale andrà a vivere proprio nelle metropoli, che al momento rappresentano proprio il posto dove la qualità della vita è la peggiore. Il secondo “ma” è che tra pochi anni non ci sarà più terreno per produrre cibo per tutti. Il terzo “ma” è che molto probabilmente non ci sarà acqua potabile per tutti. Il quarto “ma” è che questi cambiamenti climatici spingeranno intere popolazioni a migrazioni bibliche, altro che quelle di oggi. Che fare quindi? Un giorno un mio amico mi ha detto che la guerra si fa con le armi che hai e non con quelle che vorresti avere. Bene, questo è un buon punto di partenza. Cominciamo a vedere quali armi abbiamo a disposizione per cambiare questa situazione. Abbiamo la tecnologia, la più sofisticata che l’uomo abbia mai avuto a disposizione nella storia dell’umanità. Abbiamo la scienza multidisciplinare, idem come sopra. Abbiamo i soldi. Tanti. Abbiamo l’energia e la possiamo produrre direttamente dove serve. Abbiamo l’intelligenza. Certo, la sfida è enorme, ma non mi pare che si parta disarmati. Ma purtroppo non basta miscelare adeguatamente questi elementi per creare il cocktail vincente. Manca ancora qualche ingrediente importante. Manca una nuova visione del futuro, manca la volontà politica di realizzarla e manca la consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo. Con queste poche righe mi piacerebbe dare un piccolissimo contributo a rendere un pochino più consapevole tu che mi stai leggendo sul periodo storico in cui stiamo vivendo e cosa dovremo fare per sperare di lasciare ai nostri figli un mondo meno disastrato di com’è adesso. Prendiamo il capitolo città/metropoli/megalopoli. Le città di oggi, inevitabilmente nei prossimi anni diverranno metropoli, mentre le metropoli diverranno megalopoli, in quanto punti di attrazione dei flussi migratori interni ed esterni a un Paese. Abbiamo già oggi megalopoli che arrivano ad avere 24.000.000 di abitanti come Città del Messico oppure 23.000.000 come l’area metropolitana di New York o anche 37.000.000 di abitanti per l’area della grande Tokyo. I numeri sono davvero impressionanti, tanto più impressionanti se si pensa che a questi 23.000.000 di Newyorkesi ogni giorno bisogna loro assicurare, acqua per lavarsi e per bere, cibo, energia, telecomunicazioni, mobilità, salute, istruzione, sicurezza, ecc. Da dove arriva tutto il cibo? Arriva da fuori, naturalmente. Arriva dagli altri stati americani, ma arriva anche dal Sud America, dall’Asia e dall’Europa. Immaginate quante navi, quanti aerei, quanti camion si muovono ogni giorno solo per assicurare cibo e acqua a 23.000.000 di persone. Qui cominciamo a capire la differenza tra un pomodoro importato dall’Argentina e uno prodotto a Kilometro zero direttamente in un orto urbano a New York. Questa visione comincia a prendere forma facendo intravedere delle isole di auto-produzione di frutta, verdura, ortaggi e animali da cortile, isole di produzione realizzate all’interno dei quartieri in cui questi prodotti verranno consumati. Ed ecco che la visione comincia a mostrare altre immagini che non sfuggono alle menti più aperte. Vediamo che la forma/funzione del vecchio condominio non è più adatta a implementare e supportare questo nuovo modello di compartecipazione alla produzione di beni essenziali. Vediamo che nuovi spazi vengono progettati per contenere le nuove funzioni nate nella comunità urbana e la vecchia unità condominiale si trasforma e si evolve in un nuovo modello di convivenza e compartecipazione alla micro-comunità appena nata. Vediamo sempre più chiaramente dei complessi edilizi che al loro interno ospitano unità di produzione agroalimentare e zootecnica, spazi dedicati alla lavorazione dei prodotti, alla loro conservazione e distribuzione. All’interno di queste nuove strutture comunitarie cominciano a crearsi attività correlate non solo alle nuove produzioni, ma anche alle attività di supporto alla comunità: spazi per la socializzazione, il divertimento, la formazione e istruzione. Le visioni si allargano e mostrano serre e orti idroponici con rese per superficie molto superiori alle serre classiche utilizzando quantità minime di acqua, tetti verdi e organizzati per l’avicoltura e la zootecnia, sistemi fotovoltaici ed eolici in grado di produrre e immagazzinare tutta l’energia necessaria alla vita della comunità. Vediamo organismi edilizi in grado di produrre più energia di quanta gliene serve e quindi condividerla con altri organismi edilizi limitrofi. Vediamo costruzioni che non solo non rubano spazio alla città, ma ne aumentano la superficie verde formando delle vere e proprie colonie di biodiversità vegetale e animale che combattono il fenomeno delle isole di calore tipiche delle grandi città. E la visione ormai si allarga a vista d’occhio: si vedono questi interi quartieri completamente ridisegnati, dove i vecchi capannoni industriali ormai vuoti vengono riutilizzati per nuove attività sia sociali che commerciali, dove la mobilità diventa dolce e a impatto zero, dove spostarsi con la macchina non è più una necessità, ma una scelta sempre meno apprezzata e utile. Vediamo questi quartieri che riprendono vita, una vita fatta di piccole attività, di riscoperta di vecchi mestieri e arti, di rapporti umani veri ed empatici, vediamo che gli abitanti di questi quartieri riscoprono la qualità del tempo e del vivere rispettando i tempi della natura... Ora immaginiamo che questo piccolo quartiere si moltiplichi in tutte le città e le megalopoli del mondo. In un attimo scomparirebbero moltissimi aerei, moltissime navi, scomparirebbero tantissime automobili e camion, scomparirebbero molte centrali elettriche, scomparirebbero le emissioni inquinanti prodotte delle case, il traffico si dimezzerebbe, le isole di calore delle città sparirebbero, l’aria sarebbe più pulita e il rumore del traffico sarebbe sostituito dal silenzio. L’uomo tornerebbe a essere umano. Fantascienza? No. Tutto quanto descritto è attuabile e realizzabile fin da ora. Tutto quanto descritto è solo una piccola parte di una rivoluzione culturale che, ci piaccia o no, saremo obbligati a fare se vorremo sopravvivere su questo pianeta. Non si tratta quindi di smettere di costruire, non è questione di quantità ma di qualità: utilizzare materiali a basso impatto ambientale ed energetico, applicare sistemi tecnologici che permettano un uso efficiente delle risorse, realizzare strutture edilizie di nuova concezione che supportino e contengano le funzioni necessarie alle nuove comunità urbane, adeguare le normative esistenti per premiare ed incentivare nuove attività legate all'economia circolare.
Non si tratta nemmeno di rinunciare a quello che di buono il genere umano ha fin qui prodotto. Non si tratta di tornare indietro al medioevo, anzi si tratta di utilizzare meglio tutte le conoscenze e le tecnologie che abbiamo prodotto nel corso di tutta l’evoluzione del genere umano. Si tratta di fare un salto di qualità e di riappropriarci del nostro destino e della nostra dignità di esseri umani. Si tratta di avere coraggio. Coraggio di alzare la testa e tornare a guardare lontano, verso un nuovo orizzonte. Allora, ricapitolando, la visione ce l’abbiamo, la consapevolezza del momento storico è lì a portata di mano. Per la volontà politica..... Mi pare che in Italia esiste un movimento nato e creato da due visionari.... Flavio Villotta
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Giugno 2020
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