La recente scomparsa del prof. Luciano Gallino [1] ci offre l’opportunità di ricordarlo attraverso uno dei suoi più recenti e dirompenti studi. Il saggio in oggetto s’intitola “Finanzcapitalismo” ed è stato pubblicato nel 2011 per i tipi di Einaudi. Ad una lettura superficiale può sembrare semplicemente un trattato sull’attuale crisi economica e le sue motivazioni d’esistenza, in realtà si tratta di una critica spietata alla nostra società. Una società in cui l’avere conta più dell’essere ; una società in cui a scuola, per prima cosa, s’impara ad essere concorrente del proprio compagno di banco invece di crescere nella gioia di scoprire; una società dove tutta l’economia si fonda sul profitto, privando l’essere umano della sua dignità; una società dove il progresso deve essere solo crescita; una società dove l’economia ci spinge a lavorare a ritmi spaventosi per produrre cose per lo più inutili, che poi altre persone, sempre lavorando a ritmi spaventosi, dovranno comprare. Tutto questo solo per arricchire pochi, senza dare alcuna felicità a troppi e per di più impoverendo, materialmente ed umanamente, tantissimi altri. Schiavi del consumo, repellenti all’accrescimento culturale e delle coscienze. Un imbarbarimento ideale più che ideologico; infatti d’ideologia, nella nostra società-mondo, ce n’è anche troppa e quella dominante che ci sta schiavizzando, illudendoci di maggiori libertà, è proprio quella neoliberista. Il capitalismo industriale ha avuto storicamente come motore l’industria manifatturiera, il capitalismo odierno ha come motore invece il sistema finanziario. I due differiscono fondamentalmente per il modo con cui producono accumulazione: il capitalismo industriale impiega denaro in acquisto di merci per produrre una maggior quantità di denaro, il capitalismo finanziario impiega il denaro sui mercati finanziari per produrre immediatamente maggior denaro. La logica dell’investimento finanziario è dunque quella di produrre un profitto più elevato rispetto all’investimento in merci, all’economia cosiddetta reale. Il capitalismo industriale aveva come obiettivo la produzione di valore, il capitalismo finanziario al contrario l”estrazione” di valore, ovvero massimizzare il valore estraibile da esseri umani e natura. Si produce valore quando si costruisce una casa, si pianta un albero; si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case modificando i tassi di interesse o le condizioni del mutuo; quando si aumentano i ritmi di lavoro o l’orario a parità di salario; quando si distrugge un bosco per farne un parcheggio. La finanziarizzazione della economia è stata accortamente guidata da una classe capitalistica transnazionale, sostenuta sul piano politico e ideologico da una classe parallela. Tra i vertici delle due classi gli scambi di ruolo sono intensi e regolari. La politica aiutando lo sviluppo e l’ascesa del capitalismo finanziario ha abdicato al proprio compito storico di governare l’economia allo scopo di garantire il progresso delle comunità umane. Il sistema finanziario si fonda su una componente bancaria/assicurativa che controlla immense reti societarie e su investitori istituzionali quali fondi pensione, fondi comuni d’investimento o Hedge Funds (speculativi) che gestiscono un patrimonio vicino al valore del PIL mondiale. Date queste enormi risorse finanziarie, nessuna società finanziaria o industriale può permettersi di ignorare le richieste degli Investitori istituzionali. Inoltre la pressione degli investitori istituzionali sulle grandi imprese di cui detengono azioni richiede loro un rendimento sul capitale dell’ordine mediamente del 15% anche quando l’economia cresce ad un tasso di 4-5 volte inferiore. Conseguentemente le grandi imprese hanno dirottato i propri investimenti dalla ricerca, le nuove tecnologie, gli impianti, le condizioni lavorative, agli investimenti finanziari, ivi comprese le operazioni di acquisizione e fusione d’azienda ai fini della concentrazione. Il sistema finanziario fa uso anche della c.d. “finanza ombra” rappresentata da una gigantesca montagna di derivati, per valori di centinaia di trilioni. Non si tratta di finanza illegale, ma di attività de-regolate e liberalizzate. Così avviene che nella finanza ombra operino società costituite dalle banche al fine di veicolare fuori bilancio attivi che dovrebbero figurarvi. Dagli anni 80 in poi i derivati sono stati trasformati da strumenti di garanzia (garantivano un prezzo fisso per una quantità di merce futura) in strumenti altamente speculativi. A metà del 2008 ammontavano a circa 765 trilioni di dollari di cui 80 registrati presso le borse e il resto scambiato al banco tra privati. La finanziarizzazione delle imprese industriali ha imposto il paradigma della massimizzazione del profitto a favore degli azionisti, modificando l’etica e l’organizzazione dell’industria capitalistica. L’attenzione è ora incentrata sugli azionisti dimenticando gli altri soggetti sociali coinvolti nel processo produttivo: dipendenti, fornitori, comunità locali. Questa ideologia neoliberista che usa la finanza come arma di sterminio di massa si è dimostrata fallace fin dal suo esordio, infatti sono state ricorrenti le crisi economiche dall’1987 quando le principali borse mondiali crollarono in un sol giorno; nel 1997 in Asia orientale, America Latina e Russia con paurose cadute del Prodotto Interno Lordo; nel 2000-2003 partendo dagli USA con le varie “bolle” sulle new technologies poi sull’immobiliare e ancora nel 2007 che ancora si trascina e non da cenno di inversione di tendenza. Cosa è successo nel 2007? Non dobbiamo limitarci ad accennare all’altissima quota d’insolvenza che banche e assicurazioni scoprirono come conseguenza dell’aumento dei tassi d’interesse decisi dalla FED. Ci sono cause strutturali di questo sistema che è bene evidenziare: un sistema finanziario basato sul debito privato e pubblico, ciò significa che ad ogni dollaro di beni o servizi reali corrispondevano almeno quattro dollari di denaro creato dal nulla finanziando un debito o con altri strumenti virtuali. Insomma al denaro espresso sotto forma di titoli non corrispondeva più la quantità di valore reale che essi nominalmente assicuravano. Eppure l’affermazione dell’ordine neoliberale evidenzia altri aspetti di crisi, oltre a quello economico: il grande squilibrio tra le potenzialità scientifiche e tecnologiche e le effettive condizioni di vita della popolazione mondiale che tendono progressivamente a peggiorare; l’insostenibilità ambientale del modello economico fondato sul principio dello sviluppo illimitato. Grandi sono le responsabilità della politica. Non si è trattato infatti di una sconfitta della politica, ma di una consapevole azione politica volta ad adattare la società all’economia. A conferma di ciò a partire dagli anni ’80 la politica ha abolito quelle normative che ostacolavano la libera circolazione di capitali e ha abolito la separazione tra attività finanziarie e bancarie introdotte per far fronte alla crisi del ’29. Non furono solo i politici americani a sostenere questo cambiamento, ma anche quelli europei, in primis Mitterand e il suo ministro Delors, ma anche Thatcher e Kohl, quella italiana ha fatto seguito con i governi tecnici succedutisi nei primi anni ’90 (Amato, Ciampi). Proprio in quegli anni i conflitti d’interesse si sono moltiplicati dovunque. Quali i possibili esiti di questa crisi strutturale ed ideologica, prima ancora che economica, sono lasciati ad una vostra personale lettura e interpretazione del saggio in oggetto. In conclusione, a fronte di denaro creato dal niente, con artifici virtuali, per espropriare ricchezza reale alle famiglie, creando nuovi schiavi incatenati all’incertezza del domani che si umiliano per un tozzo di pane, demolendo le strutture sociali fondamentali per lo sviluppo della democrazia, ci domandiamo: tutto questo per chi? Saranno le ricchezze di Tutankhamon del nuovo millennio, chiuse in una tomba e inutilizzabili? L’uomo è il predatore più efficace del pianeta, ma l’uomo è sempre stato illuminato nel suo sviluppo e ci ha spesso sorpreso con innovazioni tecniche e sociali in ogni tempo e luogo. Ci sorprenderemo ancora? L’”uomo illuminato” siamo ognuno di noi, quando riconosciamo la nostra ansia di vita comunitaria che ci ha portato nella storia a realizzare politiche win-win dove nessuno perde, quando riconosciamo i responsabili politici di questa tragedia e decidiamo di non assecondare oltre i loro intenti malevoli, quando non ci accontentiamo di una mediocrità che è terreno fertile per chi desidera una massa di schiavi, ma ricerchiamo l’eccellenza che sola ci può distinguere, imparando a conoscere profondamente gli strumenti che questo sistema utilizza, perché conoscerli è il modo migliore per sabotarli e volgerli ad una diversa funzione. Un ringraziamento quindi all’opera del Prof. Gallino che sia da stimolo all’azione politica che solo noi viventi possiamo portare a termine. Nota [1] Il Prof. Luciano Gallino è stato un sociologo esperto del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, e delle trasformazioni del mercato del lavoro. Iniziò la sua formazione sociologica presso l'Olivetti, per volontà dell'ingegner Adriano Olivetti. E’ stato poi “fellow research scientist” a Stanford, in California, e ordinario di Sociologia nella Facoltà di scienze dalla formazione di Torino. Riprese in mano le opere in campo economico di Karl Marx rinvigorendo una tesi antiliberista strutturata su due punti chiave: a) il concetto di “classe sociale” e di “lotta di classe”, che descrisse quasi al contrario rispetto alla direzione tradizionale nell’esposizione marxiana, e b) l’Unione Europea diventata manovratore per l’applicazione delle dottrine neoliberiste thatcheriane e reaganiane che annientano pace sociale, sviluppo economico delle classi medie e basse, diritti dei lavoratori conquistati dagli anni ’50. Ci rimane la capacità di analisi del reale con una riflessione orientata verso i più deboli, con un coraggio di ribellione al pensiero dominante più comune nella fase della giovane età che in quella degli ultrasessantenni.
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Giugno 2020
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